CSPS
Centro di Studi Psicoanalitici sulla Sicurezza
Ricerche in Criminologia
Studio, Ricerca, Formazione e Consulenza
Finalità del Centro
Il Centro di Studi Psicoanalitici sulla Sicurezza è un’articolazione dell’associazione Anima e a Polis che nasce con l’intento di promuovere attività di studi, ricerche, consulenza e formazione in tema di sicurezza, con particolare riferimento alla criminologia e al suo rapporto con la filosofia e la psicoanalisi ad orientamento Junghiano.
La sicurezza come oggetto di studio, affrontata da un’angolazione diversa da quella proposta dai più consueti approcci sociologici, giuridici e comportamentali.
Gli strumenti dell’analisi simbolica, immaginativa e semiotica ci consentono di rispondere ai quesiti profondi sull’origine e la natura del noumeno sicurezza. Cos’è la sicurezza? Quali le sue dinamiche e i suoi motivi profondi? Come si diventa sicuri? L’insicurezza, con i suoi insuccessi e la sua fastidiosa sintomatologia, può essere anche una fondamentale risorsa propulsiva, la prima materia da elaborare e da cui partire, per sentirsi sicuri ed acquisire maggiore sicurezza?
Un’indagine del profondo sul tema della sicurezza, studiando ed analizzando i motivi, i fenomeni e le sue dinamiche attraverso gli strumenti e le prospettive della lettura e della comprensione dell’Inconscio e dell’Ombra ci pare particolarmente importante in tempi come quelli attuali, avvertiti come fortemente insicuri e molto influenzati dalla dimensione globale e dal continuo rapporto con il diverso e la diversità culturale.
E’ indubbio che il tema della sicurezza, così strettamente legata alla diffusa e diversa fenomenologia criminale, rappresenta sia a livello individuale, sia a livello collettivo, uno di quelli maggiormente sentiti ed una delle più rilevanti questioni del nostro tempo.
Seminario Permanente in Psicoanalisi della Sicurezza e della Criminologia
Temi trattati
L’Io e l’Inconscio
La chiave dell’interpretazione simbolica per capire i fenomeni criminali e i nostri tempi
Tipi psicologici e funzioni della coscienza
L’archetipo dell’Ombra
La fenomenologia criminale e il suo sfondo archetipico
La sicurezza come sentimento individuale e collettivo
L’archetipo della comunità e quello della socialità
L’Archetipo della crisi, la questione della dualità
L’archetipo del conflitto e della guerra, la psicologia del terrorismo
Docenti e Coordinamento del Centro
Prof. Dott. Daniele Cardelli
Ideatore e Presidente C.S.P.S.
Dott.ssa Maria Vittoria Nardi
Criminologa
Dott. Massimo Rinaldi
Impiegato del Ministero dell’Interno.
Laurea Magistrale in Scienze Politiche presso l’Università di Firenze; Laurea in Comunicazione Internazionale presso l’Università per Stranieri di Perugia; Docente nei corsi di aggiornamento professionale per le forze dell’ordine di dinamiche e normative sull’immigrazione, le problematiche di safety e security
Dott. Antonio Gattamelata
Impiegato presso il Ministero dell’Interno.
Laurea Magistrale in Scienze Politiche presso l’Università di Firenze.
Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche Psicologiche presso l’Univ. di Firenze
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Qui di seguito la conferenza inaugurale del Centro di Studi Psicoanalitici sulla Sicurezza tenuta a Firenze nell’Aprile 2007 dal Prof. Daniele Cardelli presso la Fondazione Spadolini Nuova Antologia.
La crisi, l’ombra, l’Inconscio del fatto criminale
di Daniele Cardelli
Saluti inaugurali e premessa
E’ una questione di ritualità, signore e signori, autorità, gentilissimi ospiti intervenuti all’inaugurazione del Centro di studi psicoanalitici sulla sicurezza, oltreché un indubbio onore l’occasione di poter inaugurare oggi questa nuova realtà, portando i miei personali saluti e quelli del Circolo Carl Gustav Jung di Firenze – che ho l’onore di presiedere – che questa iniziativa ha organizzato e promosso.
Cosa sarebbe la vita senza riti, ci chiediamo volentieri? Una vita senza senso probabilmente, perché sono i riti a scandire i momenti di valore e di significato della nostra esistenza.
La perdita del rito, non diversamente dalla perdita di rapporto con il mito e il valore simbolico, rappresentano gli effetti, alcuni tra i segnali, se non tra le cause maggiori di quell’imbarbarimento civile e di quel degrado culturale cui talvolta ci pare di assistere e che ci fa sentire non di rado e con maggior forza l’alito potente di un clima insicuro e più potenzialmente criminogeno.
Vogliamo anche per questo chiederci oggi qualcosa sul crimine, capire se è mera maledizione, un’esperienza esclusivamente ed irrimediabilmente negativa, oppure se ha anche un senso? Dove si origina il disegno criminale? Perché? Soprattutto, perché? E la sicurezza: quali sono le sue dinamiche? Cos’è la sicurezza, così tanto evocata proprio in questi tempi, ritenuti così insicuri? L’insicurezza può avere anche una valenza positiva?
Nel nostro pluriennale lavoro filosofico ci siamo più volte posti queste domande fondamentali e sono state queste domande a darci infine, come attraverso una progressiva maturazione, l’idea di fondare un Centro di studi psicoanalitici sulla sicurezza; si è fondato da sé, potremmo ben dire, non è stato un nostro disegno deliberato già chiaro a priori, ma un lento maturato percorso formativo.
La crisi, l’ombra, l’Inconscio del fatto criminale
Carl Gustav Jung aveva scelto di specializzarsi in psichiatria perché continuava a venirgli in mente la seguente domanda: “cosa accade davvero in un malato di mente?”; oggi qui, parafrasando questa frase, proviamo a chiederci “cosa accade in una mente criminale, in colui che compie un fatto criminale?” Cos’è, e perché, il crimine, nella prospettiva della filosofia e della psicologia del profondo?
Partiamo da una considerazione fonetica di base: crimine, inglese crime, ha la stessa radice di crash, crack (finanziario), crock, crackers, cri cri, crisis, la stessa radice del nome proprio Cristina e persino di quello greco di Christos: tutti hanno in comune la stessa radice, dal fonema cra(i), che trovavamo già da bambini nei fumetti, che vuol dire rottura.
La crisi è la rottura dell’unità precedente che conduce ad una dualità, ad un confronto e assai probabilmente ad un conflitto; l’adolescente che non è più bambino e che non è ancora adulto, l’adolescente del bullismo (termine che deriva dall’inglese bull “il toro”, simbolo dell’istintività primordiale, degli istinti primari non moderati, l’esagerato, l’adrenalico dei films americani, sopra le righe, nei pensieri, negli atteggiamenti, nei comportamenti,…per definizione); è il quadro tipico della scompensazione della personalità scissa, divisa, colpita, ferita, proprio come una mela divisa o tagliata, una bottiglia rotta in molti pezzi quando la crisi è più grave e il Sé da ricostruire. E’ decisivo che si metta luce su questo penoso, talvolta dolorississimo, infernale, processo psichico perché la terapia non farmacologica, seppur con tecniche differenti, è proprio su questa decisiva presa di coscienza che si basa.
La crisi a qualsiasi età, non soltanto ovviamente in quella canonica proprio alla crisi chiamata dell’adolescenza, ma a qualsiasi livello e in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, ci porta ad un’alterazione, talvolta abnorme, della personalità; si diventa cioè persone in crisi, in conflitto con sé stesse, nevrotiche o psicotiche per usare una terminologia psichiatrica, proprio perché agite dal conflitto interiore che, grazie al meccanismo della traslazione proiettiva e con il detto socratico “si è ciò che è la nostra Psiché”, viene proiettata all’esterno.
Una persona in crisi può picchiare (lo sapevate che il picchio è l’animale sacro a Marte?) e cioè diventare violenta anche se violenta non è, può gridare anche se è tendenzialmente silenziosa, muoversi molto, anche se tendenzialmente sedentaria.
C’è una netta, fondamentale, differenza, da tener sempre presente, fra la situazione violenta e quindi il violento occasionale, e il tipo violento: nei termini della psicologia archetipica, si potrebbe dire che nel primo caso si è agiti dalla situazione conflittuale o dal momento conflittuale proiettato occasionalmente sulla situazione: è emblematico a questo proposito il caso delle frequenti crisi fra genitori e figli adolescenti (soprattutto in età di tarda adolescenza), che ogni giorno discutono su tutto (sulla camicia mal ripiegata o messa nel cassetto sbagliato, sul rientro un quarto d’ora dopo il previsto); i genitori e i figli discutono perché è andato in crisi inevitabilmente ed ineludibilmente il loro rapporto, avviene un taglio ad un certo punto, un taglio fondamentale e decisivo nella relazione che per quasi vent’anni ha costituito l’originaria sicurezza e parte importante nella costruzione dell’identità del giovane: va in crisi perché il figlio inizia finalmente il proprio viaggio, si accinge finalmente alla propria navigazione, comincia ad aspirare di diventare ciò che veramente egli è e non solo figlio di x e y; fatecelo dire in termini più nostri, se è fortunato, inizia a percorrere la via del “processo d’individuazione”, verso quell’unica ed inimitabile totalità psichica che chiamiamo Sé. Un tempo qui, e nelle realtà tribali ancora oggi, c’erano dei riti a sancire questo passaggio di crescita.
Sotto questa luce vanno letti e si possono meglio comprendere i molti fatti di cronaca di figli che accoltellano i genitori, figli spesso ultratrentenni che uccidono la madre, un superamento violento del rapporto con il materno con cui ancora convivono (come in molti miti antichi: es. Apollo uccide il pitone della Dèa madre Terra), che andrebbe superato attraverso il riconoscimento del perché dell’insofferenza, delle liti furiose, perché a trent’anni, se maschi, non si può, proprio non si può, stare con la madre, nemmeno in questo paese basato sopra un evidente codice affettivo materno: questo è uno dei casi tipici in cui non va affatto seguito l’affettivo, che resta in tutta la sua forza, anche se trasformato, ma invece seguita la prospettiva di autonomia e crescita verso cui ci chiama il Sé. Il rapporto di convivenza con i genitori va progressivamente superato. I figli rei di matricidio o di omicidio dei genitori sono dominati in questo atto da una personalità che si è sviluppata segretamente, inconsciamente, magari fra mille segnali non riconosciuti, fino al fatal fatto. Anche il recente omicidio di Roma di quel padre che aveva ospitato il figlio nella propria casa rientra in questa tipologia; il figlio proprio in quel periodo era in preda a forti ansie (a proposito c’avete fatto caso che a Roma si uccide di coltello? Coltelli agli stadi? Coltelli nell’omicidio dello scorso 10 Aprile per strada) e non rientrava a casa già da molti giorni: sono i segni inconfondibili per un terapeuta della sopraggiunta crisi e della necessità che questa (proprio per questioni di sicurezza della famiglia e della società) venga accolta, magari in modo non farmacologico, cioè non sedativo e chetativo dei sintomi (visto che sono questi che ce ne danno l’evidenza e la testimonianza), ma attraverso una strategia di gruppo anti crisi, di riconoscimento semiologico del soggetto in crisi.
La crisi è un passaggio inevitabile, una realtà ontologica, una necessità finalizzata allo sviluppo della personalità verso l’età adulta. Crisi ha sì la stessa radice di crash, crack e crimine, ma anche la stessa di crescita. L’ideogramma cinese per dire crisi implica due altri ideogrammi: uno vuol dire pericolo, un altro opportunità.
Sempre in questa luce possiamo comprendere viceversa (vedasi anche il recente fatto di Crotone) i casi di quei genitori che stentano o proprio recalcitrano ad accettare la crescita del figlio e un mutamento della realtà; lo stesso motivo spiega e fa da sfondo al retrivo atteggiamento dei docenti anziani nel passaggio di ruolo ai più giovani, dei dirigenti d’azienda ai dirigenti più giovani e come seppero gli studenti del mio corso di Analisi culturale dei miti qualche giorno prima che accadesse in tutta la sua evidenza, spiega anche, sotto una certa prospettiva, la rottura di Berlusconi con Casini, che non è affatto soltanto politica (la ragione politica è soltanto sovrastrutturale); stupiti gli studenti perché avevamo compreso già dalle prime avvisaglie la grave crisi fra i due: la crescita, la progressiva autonomia di uno attraverso un evidente percorso di self-empowerment, una conseguente lotta per la supremazia e infine un’inevitabile separazione, spiegata perfettamente dal mito di Crono-Zeus; un grande motivo di crisi, soprattutto nel maschile, consiste nel rifiuto di una nuova dimensione esistenziale che avanza, quando questa si sostanzia, come in questo caso, in una possibile perdita di potere.
Nel caso invece del tipo violento cui sopra facevamo riferimento, egli è costantemente immerso, agito si potrebbe dire in termini psicoanalitici, ha cioè una personalità, caratterizzata dall’arché del conflitto e della guerra; guerra con la società ostile se volete, il mondo cattivo, il comune disorganizzato, i padroni sfruttatori, la realtà ambientale inquinata e impura: il fatto è che la sua costante è il combattimento; dualità nell’Anima, Anima scissa e divisa, in conflitto, che allo stadio iniziale e collettivo della nerezza (cioè di tutti all’inizio) viene sempre proiettata fuori: sull’altro nella coppia, sull’altro del sedile davanti in treno, sull’altro che dirige quell’ufficio, sul mondo infame per dirla con Antonello Venditti.
Proiettare questa parte oscura, che sta nell’ombra della personalità significa credere proprio che l’altro sia un maniaco che sta per aggredirci anche se non è vero, credere nella prima percezione, che non sempre, per usare un eufemismo, dice il vero.
Questa proiezione è pericolosa in tutti, soprattutto se si somma ad un’altra tendenza, forse un po’ paranoica, riscontrabile soprattutto nei tipi introversi: quella di immaginarsi colpevoli alla sola vista di un militare o di un agente, quella di pensare a tutto quello che possiamo aver fatto di male, senza averne fatto in alcun modo. Paura di qualcosa che fa paura, mi si dirà, non c’è niente di male, ma è anche certamente il segnale di quella timorosità (eccessiva?) che fa diventare rossi, girare o abbassare la testa, quando qualcuno anche solo accenna ad un argomento scabroso. E’ molto probabilmente lo stesso tragico errore istintuale che dopo gli attentati di Londra ha causato l’uccisione di quel giovane brasiliano, pure estraneo agli attentati dei giorni precedenti, che si dette alla fuga nei sotterranei della metropolitana e quivi ucciso.
Uno stato di crisi altera le funzioni psicologiche e biologiche, induce un’immaginazione e una percezione alterata, non solo a livello individuale, come si vede, ma anche a livello collettivo: entra in crisi la psiché collettiva di una nazione, di una città, di una comunità.
A questo riguardo vogliamo fare solo qualche cenno ai miti delle forze dell’ordine: qual è il loro archetipo di riferimento? E’ forse quello incarnato dalla caccia di Apollo (l’aspetto luminoso) ad Hermes, oscuro, ermetico (non per caso), enigmatico, dopo il furto dei suoi 50 buoi? Hermes, Divinità del commercio, ma anche del furto, psicopompo delle Anime nel mondo sotterraneo di Ade/Plutone, il regno infero, al nero, e della ricchezza. E’ certamente quello della guerra strategica, intelligente, forse più femminile, di Atèna, la Dèa della guerra strategica e del Palladio, nata, non per caso, dalla testa di Zeus, che potrebbe valere come complesso psichico fondativo per tutte le forze dell’ordine. Quest’ultimo mito, certamente diverso da quello decisamente più guerriero e militare dello scontro fisico e della violenza sanguinaria, rappresentato da Ares, accompagnato inseparabilmente dai figli Deimos e Fobos (il Terrore e la Paura) e di cuisi vede un’espressione nel recente film “300”, potrebbe avere qualche relazione anche con la severità ricercatrice, indagatrice, dei docenti universitari e dei loro esami, visto che l’università degli studi si chiama Ateneo, che proprio da Atèna, e dalla Sua città Atene, prende il nome?
E ancora, le donne in polizia sono una naturalità, e nei carabinieri, nell’esercito? Domande, socraticamente domande, per capire qualcosa di più sul “Soldato Jane” e sui 168! stupri compiuti nei confronti dei soldati americani femmine nei primi 12 mesi della presenza in Iraq.
Il mito delle amazzoni, mi si dirà, ci potrebbe aiutare: già ma le amazzoni si mutilavano o si bruciavano il seno destro per meglio tirar con l’arco, storpiavano i bambini, se maschi, appena nascevano, o li uccidevano, e facevano all’amore soltanto una volta l’anno a fini riproduttivi: non ci possono non venire in mente a questo proposito alcuni antichi cattolici precetti, ormai solo per prassi decaduti, di far all’amore solo per procreare, oppure il caso tragico della madre di Bolzano che ha ucciso il proprio piccolo; questo anche per riconoscere che di femminile nelle amazzoni, se il femminile lo immaginiamo, grossolanamente, gentile e sensibile, e non lo è, non ci rimane niente; le amazzoni a Bolzano, nelle cronache di nera (il colore dell’occulto e dell’ombra), madri che raccontano di esser state preda di raptus, “buchi neri” della coscienza, che le porta ad uccidere i loro bambini (e spesso poi a non ricordare niente, quasi che qualcun altro e non lei, lei di tutti i giorni, avesse compiuto l’eccidio) e poi, ree confesse, trasportate in un commissariato di polizia, tentano di buttarsi dalla finestra del quarto piano, come nel caso di Bolzano (…tenete chiuse le finestre in questi casi); e chissà, con tutte le prudenze del caso, Cogne, che ha la stessa radice di cognitivo, cognitivismo, conoscere: un invito, neanche troppo velato, con tutte lo spazio, forse non per caso, avuto sui mass-media, a conoscere davvero, cioè in profondità, sé stessi, chi siamo veramente; “Conosci te stesso” recita l’oracolo di Delfi, del Dio della filosofia e della terapia del profondo.
Le amazzoni emergono all’improvviso dal profondo nella psiche di una donna, magari per una questione di stress, di una situazione stressante, di un vissuto al limite o conflittuale; il titanistico affrettarsi e l’uranico affannarsi del quotidiano e dei tempi nostri come ogni manifestazione taurina appartengono ad Ares/Marte, padre delle amazzoni, archetipo del conflitto e del fatto ferale.
In fondo non sbagliamo quando facciamo notare ai nostri allievi e agli agenti delle forze dell’ordine che il loro lavoro di indagare non è affatto dissimile, se non proprio identico, a quello dell’analista che indaga i segreti dell’Inconscio: è soltanto diverso lo scopo; nel primo caso, la finalità è di scoprire l’autore(i) di un delitto e consegnarlo all’autorità giudiziaria, nel secondo è invece quello di scoprire cosa agisce e perché a fini autoconoscitivi e di salute, della propria personalità. Ma è lo stesso identico agire.
Tutte queste cose non si vedono immediatamente, tutte queste cose stanno nell’hydden side, nell’ombra e poiché come abbiamo detto più sopra, va tenuto distinto l’atto di una personalità in crisi (ad es. le sgommate con l’auto in centro, le vetrine rotte, l’eccesso di velocità occasionale), che spesso peraltro non produce un fatto criminale, né si esplica in un fatto tragico, dal fatto criminale vero e proprio, occorrerà capire che cosa davvero sia quest’ultimo e cosa caratterizzi la personalità criminale.
Il fatto criminale può rivelarsi la messa in atto di un disegno inconscio, il prodotto del momento in cui l’Inconscio si impossessa della coscienza e la induce a compiere un gesto ferale (quei buchi neri cui abbiamo testé accennato), ma anche il deliberato disegno di un personalità. Il criminale nel primo caso non poteva far diversamente forse, è stato obbligato, come lo è chiunque si trovi in posizione di subalternità rispetto ad un disegno ferale inconscio, altrimenti ci si troverebbe innanzi un individuo in crisi, pensoso sulla sua crisi e probabilmente il crimine non si compirebbe. Nel secondo caso si tratta invece di un atto deliberato, studiato; perché Totò Riina quando faceva uccidere a tavola, sgozzandolo, quello dei suoi che secondo lui aveva tradito, sapeva bene quel che faceva. Era l’ombra del potere ad uccidere, era un atto deliberato, volontario, che voleva cioè produrre proprio quell’effetto. Riina era del resto, anche più del più silente Provenzano, un leone, un dominatore di terra, di quella sua terra, per ironia della sorte, con capitale proprio Cor-leone. Il leone non è certo meno terribile quando uccide una gazzella, azzannandola, di quel che facevano Riina o Saddam Hussein (anche lui con gli occhi di leone): il leone prende, non chiede, questa è la sua psicologia; è la forza che prende e sbrana della natura terribile.
“L’orrore della porta accanto” hanno titolato molti giornali e telegiornali per indicare la serie di omicidi per raptus avvenuti recentemente: ora sappiamo che la porta accanto è in ciascuno di noi e che non sempre di raptus si tratta. E’ accaduto così anche nel tranquillo Belgio, dove recentemente una madre ha ucciso i suoi 5 figli: a detta di chi la conosceva, sembrava una madre premurosa. Era in cura per depressione e proprio per questo vien da chiedersi: ma cosa nasconde la depressione? Un altro mondo segreto, forse in trasformazione, che sta per rivelarsi? E’ decisivo quindi metter luce sul profondo della personalità, ben oltre la mera diagnosi della sintomatologia depressiva. Il Belgio è lo stesso luogo peraltro del mostro di Marcinelle, quell’Europa tranquilla in cui erompe, inattesa, ad un certo punto, l’ombra che contiene elementi dell’archetipo marziale (il nome Marcinelle e il 5 come numero sono elementi di Marte: 5 sono i guerrieri Spartoi della fondazione di Tebe, Penta-gono, Pente-silea, figlia di Ares, regina delle Amazzoni; lo dice anche Sabina Spielrein nel film “Prendimi l’Anima”: “su Marte non ci sono i bambini”. Perché dove c’è la violenza, non ci possono essere i bambini.
E come sia la scattosità, un carattere tipico di questo archetipo, lo dimostra l’eccidio nel campus della Virginia, solo qualche giorno fa. Premeditazione delle Erinni, figlio dei desideri di protagonismo e dominio.
Carl Gustav Jung ha definito l’ombra come la parte oscura, inferiore della personalità, la somma di tutte quelle disposizione personali e collettive, che per incompatibilità con la vita scelta coscientemente vengono quivi rimosse, non vengono vissute e si uniscono a formare nell’inconscio un’altra personalità relativamente autonoma con tendenze contrarie.
“La figura dell’ombra – ci dice – impersona tutto ciò che il soggetto rifiuta di riconoscere e tuttavia continuamente, in modo diretto o indiretto, gli si impone, dunque, ad esempio, tratti inferiori del carattere ed altre tendenze incompatibili[1]. E ancora “L’ombra è…quella personalità celata, rimossa, per lo più inferiore e colpevole, che con le sue estreme propaggini rimonta al regno dei nostri antenati animaleschi e così abbraccia l’intero aspetto storico dell’Inconscio…Se fino ad ora abbiamo pensato che l’ombra umana fosse sorgente di ogni male, ormai, ad indagine più accurata, si può scorgere che l’uomo inconscio, cioè l’ombra, non consiste soltanto di tendenze moralmente riprovevoli, ma mostra anche un certo numero di buone qualità, cioè istinti normali, reazioni opportune, percezioni fedeli alla realtà, impulsi creativi e così via” [2].
Tanto più sarà ignorata la nera ombra, tanto più sarà pericolosa e pronta ad agire e poiché nessuno sta fuori dalla nera ombra della psiche collettiva sarà decisivo avere un’immaginazione del male, cioè prendere coscienza dell’ombra, poiché soltanto uno stolto potrebbe ignorarne i termini.
Dunque nell’ombra ci stanno i pensieri violenti, il desiderio inconfessabile del bel compagno dell’amica, il giovane che si crede e vota a sinistra e che in realtà ha tendenze neonaziste, il pacifista che per aver aprioristicamente negato l’innegabile realtà ontologica della guerra, viene dominato da questa, arrivando alla guerriglia urbana, bruciare cassonetti, far scontri con le forze dell’ordine, e soprattutto arrivando a scrivere: “Guerra alla guerra”, o “guerrieri pacifici”, modi alternativi di vivere comunque la guerra.
Nell’ombra ci sta ad esempio il proprio aspetto vendicativo: e com’è difficile riconoscere, anche solo a sé stessi, il proprio aspetto vendicativo. C’è qualcuno che riesce a riconoscerlo, malgrado sia per la morale comune, un aspetto riprovevole?
C’è qualcuno che riesce ad ammettersi di essere tendenzialmente poligamico, in una cultura e in una morale diffusa, fondate sulla monogamia? E poi aldilà di cosa pensano gli altri, cioè del milieu culturale in cui mi trovo, se lo facesse mia moglie, io come starei? Sono queste le domande in cui uno viene coinvolto pienamente, a confrontarsi con gli aspetti indesiderati e apparentemente colpevoli della propria personalità, cioè dell’ombra.
C’è qualcuno che all’età di 60 anni riesce ad ammettersi una tendenza verso ragazze giovanissime?
Eppoi, questo desiderio, persino reciproco, è soltanto una maledizione, una sciagura? Oppure, certamente in modo meno grave, l’amore illegale, perché minorenne, di una liceale per il suo professore d’italiano o di matematica può avere una spiegazione che non sia una mera reprimenda morale? Il sex offender è una casualità inviata dal diavolo o un’archetipica manifestazione dell’Anima?
Bisogna andare davvero molto in profondità, talvolta fino al senso escatologico di una vita con il suo destino, per comprendere se e quale senso possa avere l’atto criminoso.
Proprio per queste ragioni, una delle massime più note della nostra scuola è la seguente: “La filosofia e la psicologia del profondo sono diversamente proporzionali alla morale”.
O accettiamo perennemente di vivere con dei buchi neri nella coscienza, con i gravissimi rischi connessi, oppure dobbiamo pur spiegare il perché del turismo sessuale a Cuba e in Thailandia: certamente un desiderio non equivale ad un fatto, ma resta tuttavia in tutta la sua evidenza il riconoscimento della comune base dell’uno come dell’altro, della fantasia come del fatto: siamo noi che portiamo naturalmente certe istanze non sempre o addirittura per nulla piacevoli. Le istanze contenute nell’Ombra di ciascuno, lo “sporco” (o quello che consideriamo “sporco”) del resto possiamo anche buttarlo nell’orto di un altro (i paesi del turismo sessuale).
Dobbiamo allo stesso modo, per spiegare la pedofilia, rivolgersi chissà proprio all’Urano tutto copulativo e sessuale della mitologia greca o all’Orco delle favole: le favole, ovvero una prima metaforica, non di rado terribile, iniziazione alla vita profonda. Siamo mostri in potenza quindi, potenzialmente nazisti certo, come ho avuto modo di spiegare proprio nel mio più recente corso agli analisti in formazione dell’Institut CG Jung di Zurigo; lì ho avuto modo di parlare del nazismo. Si è detto che la Shoah è stato un “male assoluto”, come dar torto a questa affermazione, e parimenti, qualcuno ha aggiunto che dopo questo, “Dio è morto”: una certa visone di Dio, magnanimo e caritatevole, con questa esperienza è certamente morta, perché bisognerebbe diversamente ammettere che il Dio che può tutto, Dio onnipotente, buono e pietoso, lì si è un attimo distratto. Si può ammettere questo, oppure, come invece riteneva in modo molto differenziato, la sapienza antica, il sacro non è soltanto quello buono e caritatevole, che ci piace di più. Per questo la filosofia è decisiva per cercare di comprendere non solo il fenomeno nella sua manifestazione qui e ora, ma il senso profondo dell’accadimento (l’Epistrophè dei greci) e grazie a quest’ultimo terapizzarlo. Per questo rivolgendomi alla prospettiva archetipica ho sostenuto che il nazismo è stato assai probabilmente una manifestazione dell’Umbra Solis, di quell’ombra dell’Archetipo solare che un’analista del profondo non di rado scorge nei sogni: le sfilate, nelle parate militari naziste, di fanciulle di bianco vestite, proprio come quelle sacrificate al Dio Sole nella cultura Inca, biondissime, chiaro, chiarezza del Sole, sotto pagane corna di cervo, simbolo solare per eccellenza, impugnanti la bandiera con la svastica, il simbolo del Sole nella cultura tibetana e indohimalayana, il saluto romano (che è il saluto al Sole), i colori del Reich, financo i nazisti che bruciavano (fuoco) e gassavano (aria, ariani non per caso), sono tutti, ma proprio tutti, simboli solari. Per addentrarsi un po’ di più nell’analisi, basterebbe ancora chiedersi perché i nazisti non tagliavano la testa come Tamerlano, o impalavano come il conte Vlade (più comunemente noto come Dracula). Perché usavano il fuoco per uccidere? Perché il fuoco, elemento solare per eccellenza, per uccidere e purificare? Purificare, ovvero rendere puro, come l’epiteto proprio del Dio Sole Apollo: Febo, cioè puro, Santo. E ancora perché anche il cristianesimo faceva altrettanto, cioè bruciava, usava il fuoco con le streghe (quasi sempre giovani donne)? E se ci fossero strette, sotterranee, profonde connessioni, una comune radice archetipica si potrebbe dire, tra queste esperienze storiche? (Vi rimandiamo, per ulteriori approfondimenti, al capitolo sull’archetipo del Sole nel mio più recente lavoro [3] ).
E ancora in ordine a questo archetipo: l’amore per il fuoco, con la sua patologia, la piromania.
Lo testimonia l’arresto del presunto piromane di auto e ascensori di 45 anni, avvenuta lo scorso 5 Febbraio; abitava con la madre e in casa aveva coltelli e balestre, bandiere con svastica, il Mein Kampf ed articoli di giornale che parlavano di Hitler: una personalità piromane, amante del fuoco, con tutti i segnali del nazismo.
Dell’umbra solis peraltro parlavano già nei loro testi sia la filosofia antica, sia quella ermetica del primo medioevo.
Il Sole nell’Anima (Soul), il Sole che cura tutto e riscalda tutto, ma che nel lato istintivo, umbra solis appunto, brucia tutto: “everything burns” (canta Anastacia) – perciò per non bruciare i fiori o solo per farli nascere e crescere occorre che ci sia un Amico del Sole, che gli impedisca di bruciare tutto e compia, proprio su Sua indicazione, un sacrificio d’alleanza con lui. E’ il mito di Mitra.
Quello che noi chiamiamo, con la Psicologia Analitica, Ombra e Inconscio, al tempo dei greci, veniva accettata come epifania, una delle tante manifestazioni del sacro, che non era affatto soltanto buono, misericordioso e magnanimo come vorrebbero alcune religioni, ma anche molto altro e diverso: i kamikaze, diversamente da alcune raccomandazioni ecclesiali, uccidevano per esempio proprio in nome di Dio; lo fanno ancora oggi, in Palestina e in Iraq, i kamikaze del fondamentalismo islamico: la parola “Kamikaze” vuol dire “soffio divino”, quasi lo stesso significato pensate del termine greco “Psyché”, “soffio vitale” o Anima, dal greco “anemos”, “vento, soffio”). Da tutto quanto qui sopra, ci sembra senz’altro di poter dire che rispetto al fatto criminale ci salvano il prender coscienza e la buona dose di fortuna di anticipare l’emergere prorompente dell’atto inconscio, perché in verità, l’unica sostanziale differenza con un detenuto colpevole di un reato potrebbe essere soltanto quella di essere arrivati un istante prima.
Noi crediamo che siano importanti queste conoscenze per gli operatori delle forze dell’ordine (nel mito egizio Horus, il Sole, cioè l’ordine, vince sempre su Seth, il caos) che devono riconoscere l’autore di un crimine o perlomeno riconoscerne lo sfondo, crediamo che siano fondamentali, se non anche come sponda terapeutica, anche solo come strumento per avere una comprensione più piena di ciò che loro malgrado si trovano ad assistere sulla scena del crimine; decisivo in questo senso è imbattersi nell’apprendimento delle funzioni psicologiche della sensazione e dell’intuizione, irrazionali per definizione, per dirla con Jung, ma utilissime per una maggiore adesione al reale; così come fondamentale è riconoscere come l’inconscio dell’affettivo gioca un ruolo decisivo nelle violenze tra coniugi.
Per avere un quadro più confacente di ciò che veramente è, di tutto ciò che lei avrebbe voluto lui fosse, non avendo mai sepolto del tutto la favola del principe azzurro che le raccontavano da bambina (e mi chiedo perché non ci sia cultura dove abbia sentito o letto di una corrispondente principessa rosa per i maschi); per avere un’idea del perché lui, giovane, amandola troppo, verrà probabilmente lasciato: per quel troppo amore che accompagna non di rado la rimozione dei pensieri spiacevoli, la paura non solo di farle male, ma anche solo di pensare male (com’è nella dimensione panica), con la conseguente involontaria, quanto naturale, reprimenda della voce, o pulsione interiore, che conduce spesso a forme di violenza…; avere un’idea, almeno un’idea, del perché fino a trent’anni in Italia, non si vede il barlume d’un uomo, ma solo ragazzi (la polarità affettiva del figlio), per definizione dominati dall’Anima, l’archetipo femminile presente in ogni essere di sesso maschile. Un giorno chissà su questa strada si potrebbe anche comprendere il rito che da qualche domenica ormai si sta rinnovando, quest’anno come sempre, quello dell’emigrazione domenicale al mare, quello del A11. Dove lei se ne sta dalla mattina alla sera ininterrottamente a prendere il Sole, mentre lui esasperato alle 12 se ne va all’ombra della pineta, ignorando peraltro turbolenze e desii che di lì a poco gli arriveranno.
Perché questo? Perché quella favola del principe azzurro? Cosa cerca lei in Cielo, cui pare alludere la favola del principe, azzurro non per caso come il Cielo? E il Sole delle tanto, dal femminile, agognate Estati di fuoco e di abbronzature splendide: forse lei cerca proprio il fuoco nel Sole, il virile, vir unum, che lei non ha per sua natura?
C’entra questo con l’essenza di un uomo? E diventare uomini ha a che fare con la severissima erta via dell’iniziazione al Sole? Una coniuctio oppositorum degli elementi? Sapere questo aiuta anche nei rapporti, perché colloca correttamente.
Capire queste cose è decisivo anche per capire più profondamente questi tempi di trionfo femminino e di matriarcato, di maggiore morbidezza forse (“il femminile entra negli eserciti e li cambia” abbiamo scritto nei nostri libri), ma anche del pianeta riscaldato, di quel caldo così tanto agognato dal femminile, di Nancy Pelosi, Hillary Clinton, Segolène Royal, dei presidi donna (mai successo prima, da quando siamo in vita); e quindi partiamo proprio ora, fiduciosi, per una rinnovata educazione del maschile e del maschile alla sicurezza, ora visibilmente appannaggio delle donne, di quella sicurezza che si manifesta consapevole e ferma, come lo può essere solo la pietra filosofale: un padre non deve fare molte cose, camminare bene; un poliziotto non deve fare molte cose, esserci. Ripartiamo ora, perché il Sole nasce il 25 Dicembre, proprio all’inizio dell’Inverno.
L’inconscio profondo si articola nella messa in atto di miti, come sosteneva Jung: è questo uno dei fondamenti di quella che ho chiamato Mitoterapia e che si manifesta, nel suo lato negativo, proprio nell’atto e nel fatto criminale; da Cogne a Bolzano, da Erba (la difesa del limes e del proprio spazio, una delle maggiori cause di violenza) a Enna, dove una madre ha ucciso il suo neonato, appena partorito, nell’acqua bollente, rivivendo probabilmente un rito archetipico, cioè presente in molte etnie, tribù, in molte culture, dalla Scozia all’Uganda, in tempi diversi.
Il rito della purificazione sul fuoco si chiama, e punta all’immortalità, dell’Anima, non della vita fisica; molto simile, se non identico, all’atto che compie Demetra nel suo mito, come badante del figlio di Metanira; Demetra proprio ad Enna, dov’è accaduto l’orrore, ha uno dei centri del Suo culto: e non è solo per questo che ci viene l’associazione fra questo orrendo crimine e il mito, ma perché in questo fatto tremendo vi si ritrovano altri elementi del mito di Demetra: il bambino non è stato annegato ad esempio, ma preso per i piedini, proprio come si dice del rito compiuto dalla Dèa, come lo fu per Achille del resto, e ustionato nell’acqua bollente, esposto al fuoco dunque, proprio come fa la Dèa, e perché la madre del bambino era una badante rumena, proprio come Demetra. Tanti elementi identici fra crimine e mito. Azzardi della filosofia del profondo? Oppure siamo davvero alle soglie del luogo in cui si originano i delitti, i crimini e le torture, come le sofferenze più tremende, perché anche tremendo è il sacro, “terribilis est” per dirla con i latini.
Conflitti interni e internazionali, guerre che scoppiano tra fazioni e nazioni, non sono niente di più che la proiezione fenomenologica, a livello collettivo, di un conflitto fra principi, dell’arché del conflitto; in questa luce si legge bene anche la fenomenologia del terrorismo e del terrorismo suicida (vedi il capitolo su “L’archetipo del conflitto e la psicologia del terrorismo” [4]). Il terrorismo, con la stessa radice di Terra e Terrore, c’avete mai fatto caso? Che sia Gèa, la terra, proprio come ci dice il mito, a ribellarsi ad Urano, il Cielo primordiale? Urano che copula e giace ininterrottamente e prepotentemente sopra di lei, schiacciandola ed ricacciando i figli non ancora nati nel suo ventre.
Questo aldilà che l’11 Settembre nasconda o meno pesanti complicità, come vuole la teoria complottistica.
E se il terrorismo, come ci dimostra ad esempio chiaramente il modo di vivere legato alla dimensione tribale in Afghanistan, con le sue dinamiche di strettissimo rapporto con il territorio (proprio come la mafia e la camorra) e come ci dice il generale a capo dell’Armata Sovietica che tentò di occupare l’Afghanistan (interpellato, rispose che gli Afgani sono storicamente antitetici e contrari ad ogni forma di governo centralizzato), fosse proprio il prodotto di un mondo, che noi qui oggi chiameremmo antico, legato alla terra e al territorio? Con i suoi riti, legato alle idee di clan, di tribù, all’agricoltura, alla pastorizia e alle loro lentezze; queste evidenti osservazioni ci confermano quanto ci dice il mito parlando dei guerrieri pronti al martirio come gegeneis, cioè nati dalla terra, e quanto ci suggerisce il mito sulla natura di Gèa, il principio della madre Terra, limitato e di moderate dimensioni, come il corpo, che si oppone e si ribella all’idea di no limits, alla mancanza di confini e di limiti dei pensieri e dell’impresa multinazionale, che appartengono invece al Cielo.
Miti e Archétipi per capire questi tempi, turbolenti, incerti, insicuri, come ogni fase di transizione storica: almeno fino a qualche secolo fa, c’era la sicurezza della religione; ora, oltre all’insicurezza sociale, non sai mai chi incontri davvero, oltre all’insicurezza sul lavoro, la precarietà e le morti bianche, oltre all’insicurezza economica, a trentacinque anni ancora dipendenti dai genitori, oltre all’insicurezza affettiva, i matrimoni che finiscono subito non si contano più, pure il bullismo, vallettopoli, i genitori che picchiano i maestri, violenza fra giovani, gangs dal coltello facile, Roma stadio, tifoserie e baby gang da cronache giudiziarie di nera a Londra come a Napoli, insegnanti che tagliano la lingua ai bambini agitati o si fanno toccare; il ministro Fioroni che dice “emergenza del vivere civile”; l’Italia che trionfa nel Rugby (lo sport virile) e contemporaneamente vallettopoli: ma che sta succedendo? Che tempi sono questi? Perché tutta questa diffusa violenza? Se fossimo stati nell’antichità, dove gli uomini erano ancora in profondo contatto con la spiritualità ed il suo esprimersi simbolico, avremmo pensato all’attivazione di un archetipo; Marte e Venere nella vita di tutti i giorni, come ho sostenuto nel mio “Archetipi delle nazioni, miti per questi tempi” [5]; come spiegare altrimenti questa concomitante fenomenologia di brutalità (sopraffazione bullistica) e bellezza (i corpi delle vallette), di virilità, violenza e di sensualità insieme.
I calciatori del resto stanno con le veline proprio come, guarda caso ci verrebbe da dire, i muscolosi ultras delle curve portano in scooter ragazzine carine a pancino scoperto: dove c’è Marte ricordatelo, c’è sempre anche Venere.
Le bellissime donne del Sud e l’efferatezza della criminalità organizzata. Della mafia, della Camorra, delle N’drangheta, della Sacra Corona Unita, tutti nomi al femminile, c’avete fatto caso?, proprio come Hera, la regina, moglie di Zeus, che generò da sola, per ripicca al marito infedele, Ares, la terribile divinità della violenza sanguinaria.
Come si fa a diventare sicuri allora professore, proprio in questi tempi turbolenti? La terapia sta già, come non di rado accade, nella parola sicurezza: sicurezza (provenzale segurs, sp. e port. seguro, rum. Sigur, ted. Sicher, fr. Sur, ingl. Sure), tutti dal latino Securus, composto di Sé e cura, cioè curarsi, aver cura di sé; ecco cos’è davvero e anche come si trova anche la sicurezza. Attraverso la miscela di due ingredienti fondamentali: l’esperienza e la sapienza, o autoconoscenza, passando inevitabilmente per l’insicurezza su quasi ogni cosa, dove puoi fallire sempre e pertanto anche apprendere a vincere, e per i gruppi per l’individuazione.
Ciò ci riporta forse al mitico tempo di Atlandide, degli uomini sapienti, e alla necessità, viva più che mai, di trovare non solo il senso delle cose, ma il loro senso profondo, la loro verità ultima, la loro essenza: un inno alla filosofia come terapia dell’Anima, dalla psicoterapia alla terapia dell’Anima, un inno alla filosofia come via alla sicurezza. Per capire anche come ha fatto l’Italia a vincere i mondiali: grazie al sacrificio, al fatto cioè che ha pagato qualcosa: lo scandalo del calcio e una tragedia sfiorata, Pessotto; “Triumph from tragedy” titolava qualche tempo fa una mostra nella sala d’arme di Palazzo Vecchio. La tragedia che porta poi il trionfo. Indizi per rileggere in una nuova chiave l’11 Settembre e il mondo che ne sta nascendo.
La pace se non arriverà nell’eccezionale ipotesi di un’estensione del Nume della pace a livello globale, ovvero se qualche Spirito della pace non conquisterà contemporaneamente tutti i cuori degli uomini (ma non è successo finora storicamente e rimane una rarità ipotetica), può giungere, secondo noi più probabilmente, proprio comprendendo la violenza, il conflitto, la guerra nella loro radice archetipica, come realtà ontologiche, archetipi dell’esistenza e perciò non escludendole a priori, ma accettandone in un certo senso la loro fin qui ineludibile presenza e ricercandone il possibile significato: la guerra, il conflitto, la violenza, non diversamente dallo stupro, la pedofilia, gli abusi dei sex offenders e quelli, di pari passo, del tutto inventati da giovanissime/i per attirare attenzioni parentali e colmare il bisogno di affetto (vedasi il caso della ragazza qualche giorno fa a Sesto Fiorentino), cioè di quelle cose di cui vediamo nella cronaca dei giornali quotidiani, sono in una certa misura datità dell’esperienza psichica (umana e animale): pur senza mai abbandonare l’ipotesi di vederle scomparire del tutto, ma proprio partendo da questa oggettiva speranza, vediamo che possiamo farci ora.
La conoscenza come terapia e prevenzione quindi, come luce prospettica positiva rispetto alle cose: quella stessa conoscenza delle cose che ci fa dire che basta con l’accettazione delle tifoserie organizzate in trasferta: in Italia come in Champions League; perché Filippo Raciti non abbia dato la vita invano. Quante vittime ancora dobbiamo pagare, dopo Paparelli a Roma, Spagnulo a Genova, Raciti a Catania per comprendere che 100 timidissimi studenti, bravi ragazzi, radunati dalla comunanza di una sciarpa e di un colore, diventano orda e che è proprio questa psicologia dell’orda che non vede negozi, vetrine, auto, panchine, giardinetti, passeggini, donne incinte, anziani, giovani amanti, mano nella mano, ma solo cose da distruggere e violentare: perché un esercito che deve entrare dentro le mura di una città da conquistare, proprio come sono le tifoserie in trasferta, deve vivere per forza la dimensione della pazzia, come ci testimonia anche il bel libro di James Hillman “Un terribile amore per la guerra”.
Dobbiamo eliminare il problema alla radice se non vogliamo pagare il prezzo di nuove vite per una partita di calcio (per quanto invero questa sia sublimazione marziale) e di nuove inevitabili devastazioni. Felici perciò di osservare come proprio in questo senso siano andate finalmente le misure adottate dal governo.
E così alla stessa maniera, la conoscenza delle cose ci aiuta a collegare i delitti dei due senzatetto a Prato qualche anno fa (per i quali non mi risulta sia stato assicurato ancora alla giustizia alcun colpevole), senzatetto uccisi di notte a sprangate, alla zuffa di qualche giorno fa fra cinesi e italiani avvenuta a Prato, seguita appena due giorni dopo da quella più nota a livello nazionale di Milano. Un hotel ha una capienza signori e anche un territorio ce l’ha: se non vogliamo l’esplosione di conflitti o involontariamente attivare pericolose fenomenologie compensative, dobbiamo rispettare questi limiti e curare al meglio la convivenza che si gioca al loro interno.
E’ decisiva l’acquisizione di una prospettiva più profonda e quindi più consapevole da parte delle forze dell’ordine, proprio perché sono i primi operatori della crisi psichica; sono proprio gli operatori delle forze dell’ordine i primi ad essere chiamati sul luogo del delitto, sul luogo del crimine. Sono gli operatori anti-crisi per eccellenza, con i vigili del fuoco e del 118, e, nelle operazioni internazionali, l’esercito, la marina e l’aeronautica chiamate a gestire le crisi e le peace keeping operations: il Libano, l’Iraq, l’Afghanistan degli hashashin (da cui il termine assassini).
Proprio per sostenersi sulla scena del crimine occorre anche certamente la forza della consapevolezza, che solo dal profondo può venire, sul senso finalistico, se non escatologico, della tragedia, sul perché dei sacrifici (sacrum ficere = fare sacro), di New York e l’11 Settembre, della tragedia che trasforma, del senso di uno stupro, onnipresente nei miti antichi (dalla deflorazione di Kore al rapimento della giovane Europa), quella violenza del Sé sull’io, come la chiamava Jung, che dà inizio o è passaggio inevitabile, quando va bene, verso una nuova realtà psichica, una fase e un livello più maturo e consapevole dell’esistenza; quella violenza e quel senso del tragico che conosceva bene il mondo antico e che gli antichi greci nelle Dionisie rappresentavano; sapere il perché degli uragani, delle tempeste, degli tsunami nella propria vita e in quella dei popoli.
Perciò un centro di studi psicoanalitici e filosofici, da oggi forse con il nome più appropriato di centro di studi junghiani sulla sicurezza, con le sue due esclusive funzioni della formazione e della consulenza; per una nuova paidèia, un’educazione emotiva ed affettiva fin già dal primo corso di filosofia e psiconalisi della sicurezza, che vorremmo inserire come modulo permanente nel nascendo corso master in psicologia del profondo; queste cose, centrali nel mondo nuovo che sta sorgendo, con i preziosi strumenti dell’opera junghiana basata sulle idee di trasformazione e individuazione, verso l’uomo totale, che vive il mondo, che sta nel mondo e che in questo mondo si autorealizza.
L’Inconscio la sa ben più lunga della prassi preventiva, della prevenzione, del counselling preventivo. Cela finalità e modalità che spesso soltanto dopo, ahimè, potremo scoprire.
Questa è una resa all’ineludibilità dell’incertezza, all’insicurezza della vita, il paradossale elogio dell’insicurezza per dirla con Marina Valcarenghi, come base per giungere, eventualmente, ad un più elevato livello di sicurezza, a quella convinzione profonda che fa dire a Fabrizio Moro, che quest’anno ha vinto Sanremo con il suo bel brano “Pensa”, “perché in fondo questa vita non ha significato se hai paura di una bomba o di un fucile puntato”; puoi anche avere paura certo, è umano, ma sappi che il cuore e la necessità di andare avanti saranno più forti.
E’ con l’omaggio all’immensa forza della Vita immortale, che non ha più nulla da perdere essendo già morta, del “tu uccidi un uomo morto” di Francesco Ferrucci, ricordate?, che concludiamo questa nostra conferenza.
E’ dal collegamento con questa Forza (Archè) che scaturisce il più forte sentimento di Sicurezza, la sicurezza stessa nel suo senso più profondo ed essenziale.
Non senza aver rivolto il nostro primo e più sentito, fervido e cordiale ringraziamento a tutti coloro che per primi si trovano a fronteggiare il pericolo, il problema, il crimine, a dare il primo soccorso: il primo nucleo anticrisi sono i poliziotti, i carabinieri, i finanziari, i vigili urbani, i vigili del fuoco, i militari attraverso tutte le loro articolazioni, gli operatori del 118, della vab, dei forestali, i servizi dello stato, consci però anche del fatto che se il tema della sicurezza, quell’aver cura di sé cioè, non viene affrontato dagli individui, singolarmente e in gruppo, attraverso l’altrettanto eroico lavoro su Sé stessi della presa di coscienza dei pericolosi, se mantenuti Inconsci, contenuti dell’Ombra, non si potranno avere risultati positivi, né maggiore sicurezza sociale. Perché una terapia post-traumatica senz’anche un’adeguata igiene preventiva, non riesce a dare efficaci ed apprezzabili risultati. La sicurezza signori è un sentimento, non diversamente dalla felicità, dalla tristezza, dalla gioia, dalla serenità: può venire da qualsiasi cosa, improvvisamente, per qualsiasi motivo; ci possono essere chiare le dinamiche e i motivi per cui viene, oscuri restano invece il momento, le finalità e il decorso di questo sentimento. Né ci è chiaro perché lo perderemo di nuovo.
Ecco cosa contiene davvero l’ansia del disturbo psichico, che talvolta assume sembianze omicide: un mondo nuovo ed inatteso che di lì a poco si rivelerà; il disturbo psichico come inferno del paradiso. Per chi lo sa capire, un po’ come vedere il mondo alla rovescia, il paradosso come regola.
Una solidarietà all’esperienza della detenzione quindi e la comprensione del rapimento di un giorno o di molti mesi, come nel caso, in Austria, della giovane Natasha, con le terribili angosce connesse: queste cose hanno senso se lette come esperienze iniziatiche, di recinto spirituale, dove Anima, attraverso la crisi, cresce (si noti stessa radice e lo somiglianza fonetica fra crisi e crescita); Anima aspira, proprio come fa l’aspiratore in cucina, tende a salire in alto, verso il Cielo: la via del Cielo, verso quella conoscenza che è Sofìa, la sapienza, è dura, severa, spietata, spietata come la verità e la natura.
“Si cerca la posizione, il matrimonio, la ricchezza e anche quando abbiamo raggiunto tutto questo restiamo insoddisfatti e nevrotici”, ha detto una volta Carl Gustav Jung, cosa mai avrà voluto dirci con questa frase il grande filosofo e psicoanalista svizzero?!
Il nostro è un elogio alla ricerca del senso profondo delle cose per vivere meglio i singoli accadimenti della vita.
Fu in quel momento che vennero in mente i caduti di Nassirya, il finanziere Giacinti, Nicola Calipari, Falcone e Borsellino, tutti i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri, i militari e i magistrati caduti nell’espletamento del servizio delle loro funzioni e il significato profondo dell’archetipo dell’eroe, di una vita da eroi che fa da esempio e cambia davvero le cose.
Esempi, come lo possono essere soltanto i cavalieri del Sole: costruiamo e realizziamo, ispirati anche da questi esempi, quella visione dell’Italia, e lo diciamo volentieri proprio qui nella Sala Spadolini (dedicata a Giovanni Spadolini, ringraziando l’amico professor Cosimo Ceccuti che della Fondazione Spadolini Nuova Antologia è il presidente per la squisita ospitalità che riserva sempre alle nostre iniziative), all’altezza dei campioni del mondo, per cui valga la pena di morire e di vivere; come ci suggerisce il canto degli italiani, con i versi di Novaro e la musica del giovane Mameli (qui mi rivolgo ai giovanissimi) venuto in vita giusto per darci l’inno nazionale, 22 anni e se n’è andato, proprio come quei giovani del Sud e del Nord andati a morire sull’Adamello, “siam pronti alla morte l’Italia chiamò”… Si può accettare di morire e di vivere pienamente solo per un motivo giusto, solo per un’ideale di giustizia.
E’ da queste premesse, è da queste prospettive, è con questi auspici e con la forza di questa visione che inauguriamo il Centro di studi psicoanalitici sulla sicurezza, salutando come facciamo sempre, com’è nostro costume, con una cordialissima stretta di mano.
[1] “Bewusstsein, Umbewussttes und Individuation” su “Zentralblatt fur Psychotherapie” 1939, pag. 265.
[2] Aion, 1951, pp.379 e sgg.
[3] Daniele Cardelli, “I pensieri che curano – Sofìa, la sapienza, come terapia”, ed. Anima e Polis, Firenze, 2006
[4] Daniele Cardelli, “I pensieri che curano – Sofìa, la sapienza, come terapia”.
[5] Daniele Cardelli, “Archetipi delle nazioni, miti per questi tempi”, edizioni Anima e Polis, Firenze, 2004